La cassazione torna sull’onere probatorio in tema di fatturazione per operazione presuntivamente inesistenti

Con la sentenza 23065 dell’11 novembre 2015 la Corte di Cassazione torna sull’onere probatorio in tema di fatturazione per operazioni presuntivamente inesistenti. Nel caso trattato l’amministrazione finanziaria ha fondato il proprio ricorso in Cassazione, tra l’altro, sul motivo che all’ufficio fiscale spetterebbe solo la dimostrazione in giudizio degli elementi su cui fondare il ragionevole sospetto che le operazioni fatturate sono inesistenti.

Una volta comprovato tale elemento, ossia il sospetto, ne deriverebbe che l’obbligo di dimostrare la veridicità delle operazioni fatturate si sposta e graverebbe, secondo il ricorrente, sul contribuente. Inoltre è stato ricordato come, da diversi elementi probatori, risulti con chiarezza il fatto che la società oggetto di contestazione svolgesse quale unico ruolo l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (cd “cartiera”). Infine è stata anche sollevata la contestazione basata sulla mancanza di motivazione nella decisione della CTR.

La corte di Cassazione, valutando tali motivi li ha definiti infondati, confermando che a carico dell’amministrazione grava la dimostrazione dell’inesistenza delle operazioni contestate. Se infatti l’amministrazione contesta al contribuente l’indebita detrazione di costi, a causa dell’inesistenza delle operazioni fatturate, deve necessariamente “provare che l’operazione commerciale in realtà non è mai stata posta in essere”.

Tale prova può fondarsi anche su elementi presuntivi e sarà successivamente il giudice tributario a valutare se tali elementi possiedono i requisiti necessari richiesti dalla legge (gravità, precisione e concordanza).

Solo se Il giudice suddetto dovesse ritenere valide tali prove si verificherà l’inversione dell’onere della prova e sarà quindi compito del contribuente dimostrare l’esistenza delle operazioni fatturate, al fine di discolparsi. In sede processuale invece l’amministrazione ha sostenuto una tesi secondo la quale a carico dell’amministrazione stessa vi sarebbe al massimo l’obbligo di dimostrare l’esistenza di un “ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza delle operazioni”, depotenziando così l’onere gravante sull’amministrazione fiscale. Tale tesi non può e non è stata accolta dalla suprema corte, la quale, come detto, ha rigettato il ricorso e condannato l’amministrazione finanziaria a rimborsare le spese processuali.

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Studio Legale Cacopardo
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